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Autunno: la prova

16. Solo esperimenti quantitativi

Ho descritto e commentato gli esperimenti che svolgo in laboratorio per introdurre gli studenti alla sperimentazione scientifica: Il primo esperimento: misure a senso, Il secondo esperimento: righelli assortiti, Il terzo esperimento: tutto è relativo.

Parallelamente ho incominciato a descrivere il modo in cui cerco di insegnare loro come devono raccontarli per iscritto: La prima relazione: l’esempio può confortare, e La prima relazione: uno schema deve illuminare.

In particolare, ho parlato del titolo (Incominciare con un bel titolo è meglio) e della virtuosa coppia scopo-risultato (Il circolo virtuoso fra lo scopo e il risultato).

Penso di aver discusso abbastanza a lungo, per cominciare, dell’importanza e del modo di insegnare a scrivere agli studenti un testo scientifico, ma non ho chiarito a sufficienza su quale materiale specifico va esercitato lo sforzo della scrittura. Ecco il momento. Per mettere il luce questo aspetto del lavoro devo esporre in maniera più organica il mio programma di lavoro.

Ho già detto che il programma di lavoro è stato lo strumento didattico che ho dovuto adattare meno alle mie nuove necessità professionali (Quattro armi didattiche) però mi sono smentito subito quando ho confessato di aver gettato alle ortiche il discutibile esperimento del calibro. In realtà, anche il vecchio programma di lavoro – cioè la consolidata e collaudata collezione di esperimenti selezionati nel corso degli anni – ha subito delle sensibili modifiche che lo hanno armonizzato agli altri strumenti didattici. Per spiegare bene che cosa voglio dire torno indietro al primo giorno di scuola.

‒ Sapete quando è stata inventata la scienza?

È la prima lezione del corso: il teorico ed io, affiancati davanti alla classe, cerchiamo di introdurre gli studenti al contenuto e soprattutto al significato del lavoro che li attendono. Lo facciamo con una domanda un po’ ad effetto, per rompere il ghiaccio.

Ma è anche la fase del reciproco studio: ad ogni inizio d’anno il docente scruta la nuova classe per indovinare che cosa sarà di sé, dopo che quelle personcine ora silenziose e circospette avranno gettato la maschera e mostrato il loro vero volto, angelico o diabolico. Anche la classe naturalmente studia il docente per scoprire che cosa sarà di sé e che cosa si nasconde davvero dietro a quel volto che adesso gli appare benevolo e suadente.

Inoltre, in questo caso, la classe ha una ragione in più per studiare il docente, dal momento che, contrariamente al solito, questa volta il docente è doppio: una novità inquietante. Perché sono due? Saranno come Stanlio e Ollio? (doppio divertimento), oppure saranno come Rambo e Rambo ii? (doppio pericolo).

I due, intanto, parlano già da cinque minuti; hanno fatto l’appello, hanno esaurito le formalità con il registro, si sono presentati anagraficamente, ma ancora non hanno detto che cosa ci stanno a fare in due. Col tempo le cose si chiariranno e ognuno di loro prenderà ad insistere sul proprio campo d’azione, ma per il momento sembrano quasi voler confondere le idee, perché parlano un po’ per ciascuno, si passano educatamente la parola, e adesso se ne escono con questa domanda bizzarra:

‒ Sapete quando è stata inventata la scienza?

La classe ancora non lo sa, ma non ha di fronte a sé due insegnanti, ne ha quattro: Stanlio, Ollio, Rambo e Rambo ii, coalizzati e organizzati.

Se lo sapesse esulterebbe e inorridirebbe nello stesso tempo, perché non c’è niente di meglio (o di peggio) che avere a che fare con due docenti affiatati che si passano la battuta tutte le volte che è possibile affrontare un argomento insieme.

Mentre il primo parla alla classe e si concentra soprattutto sul filo del discorso, il secondo la scruta attentamente, lanciando occhiatacce ai distratti; quando il primo si trova a corto di esempi, il secondo interviene prontamente perché nel frattempo ha dipanato una propria linea di pensiero; se il primo si abbandona a qualche buffonata, il secondo gli fa da spalla, la classe abbocca candidamente, e allora tutti vivono un istante di autentica felicità scolastica; se oggi il primo è un po’ appannato, il secondo sarà più lucido; se il primo perde la pazienza, il secondo la conserva; ma se entrambi si incazzano per qualche grave ragione, ebbene, allora è davvero il finimondo e nessuno studente vorrebbe passare quei cinque minuti di putiferio in quella classe. Ma queste sono tutte situazione ancora ben di là da venire.

‒ Sapete quando è stata inventata la scienza?

Gli studenti, in genere, tendono a sopravvalutare il tempo che ci separa dalla nascita della scienza moderna; i più ragionevoli parlano di migliaia di anni, alcuni di centinaia di migliaia, qualcuno perfino di milioni. Confondono scienza e tecnologia e hanno un atteggiamento tipicamente aristotelico.

‒ La scienza – viene rivelato – è stata inventata circa 350 anni fa, anno più, anno meno…

Questa notizia li lascia piuttosto scettici. Qualcuno invoca Archimede, qualcuno risale agli egizi, qualcuno ricorda la ruota, e tutti tendono a resistere a questa idea. Digeriscono facilmente il fatto che la ruota non sia una conquista scientifica, bensì una progresso tecnologico, ma l’accusa di aristotelismo non la mandano proprio giù.

La scienza, effettivamente, ha qualche migliaio di anni – ammettiamo – però fino a poco più di trecento anni fa gli scienziati pensavano ancora che per capire come è fatto il mondo fosse sufficiente ragionarci sopra, e soprattutto appoggiarsi alle opinioni di qualche grande pensatore, come per esempio Aristotele, un filosofo greco vissuto nel iv secolo avanti Cristo. Quest’ultima idea si chiama principio di autorità, e se voi pensate che la scienza abbia più di tre secoli allora voi siete aristotelici.

Nessuno di loro vuole essere aristotelico, anche perché questa storia del principio di autorità appare alquanto sospetta, e urta contro la naturale inclinazione dei giovani all’egualitarismo.

‒ E poi, cosa è successo? – chiede qualcuno.

‒ Poi qualcuno – un certo Galileo Galilei, italiano – ha detto che ragionare soltanto non basta; bisogna anche fare degli esperimenti, perché altrimenti non sei mai sicuro se i tuoi ragionamenti sono giusti.

‒ Lapalissiano – osserverebbero tutti in coro, se solo conoscessero la verosimile storia del capitano francese Jacques ii de Chabannes de La Palice il quale, come è noto, un quarto d’ora prima di morire era ancora vivo. Loro si abbandonano semplicemente alla sorpresa e all’orgoglio nazionale.

Questa storia romanzata della scienza li prende sempre molto; naturalmente bisogna pagare il prezzo di una buona dose di schematismo, ma non mancherà più avanti il tempo del rigore.

‒ Pensate che, in quel tempo, non essere aristotelici voleva dire rischiare la reputazione, il lavoro e perfino la vita, tanto si considerava insensata l’idea di rinunciare al principio di autorità.

La classe ondeggia fra sentimenti di incredulità per i misfatti appena nominati e di risentimento verso gli autocrati.

‒ D’altra parte, riflettete: non vi sembra un’invenzione banale quella della ruota? Che cosa ci vuole, in fondo, ad immaginare un cerchio che rotola? Eppure, numerose civiltà, anche molto evolute, non ci sono mai arrivate, quindi non dovete stupirvi se delle scoperte apparentemente ovvie hanno incontrato tanta difficoltà ad affermarsi.

Dopo aver introdotto un po’ picarescamente gli studenti alle delizie della scienza moderna è possibile affinare il discorso sulla necessità di una conoscenza quantitativa della realtà. È il primo giorno di lezione, e loro ascoltano ancora in un silenzio attento e devoto.

Gli parliamo del metodo scientifico, di sensate esperienze (che saranno affar mio) e di dimostrazioni necessarie (che saranno affare del teorico), di esperimenti e di calcoli, ma potremmo annunciargli qualsiasi cosa, per esempio che studieranno la relatività e la meccanica quantistica e il modello standard e chissà che cos'altro: non batterebbero ciglio. Finché non arriva il primo compito da svolgere, e soprattutto il primo voto, qualsiasi studente vive in un sereno limbo sospeso fra la salvezza e la dannazione scolastica. Ascoltano, è vero, ma non hanno ancora la più pallida idea di ciò che li aspetta.

Ma io ce l’ho – eccome! – e quest’idea si può riassumere in un motto ben preciso: solo esperimenti quantitativi. Niente esperienze qualitative, perciò, niente sconti ed edulcorazioni, niente scienza in cucina, niente semplificazioni da rivista popolare, niente scimmiottamenti di programmi televisivi di divulgazione; niente di niente, insomma, che non possa essere ricondotto – a tutti gli effetti – alla scienza con la esse maiuscola.

Non voglio affatto sminuire con questo discorso l’importanza dell’opera di divulgazione scientifica che si fa sulla stampa, alla televisione e sull’internet. Voglio piuttosto affermare con fermezza che la scuola è irriducibilmente un’altra cosa. C’è comunque una differenza abissale fra la più interessante delle attività di divulgazione e la più scadente delle attività didattiche. Per la scuola, infatti, l’interesse è una preziosa risorsa, mentre la difficoltà è la realtà quotidiana; per la divulgazione, al contrario, l’interesse è lo scopo primario, mentre la difficoltà è un ostacolo da attenuare il più possibile o da evitare del tutto.

La divulgazione effettivamente genera curiosità, e di ciò la scuola può sicuramente avvantaggiarsi, ma a condizione che si faccia poi il discriminante salto per superare la barriera che separa la curiosità dallo studio. E bisogna ammettere senza ipocrisia che il superamento di questa barriera non comporta solo un sforzo un po’ più intenso, ma impone la necessità di adattarsi al carico, talvolta massacrante, di una fatica sistematica. Se ciò non avviene la divulgazione è inutile, o peggio ancora: è un pericoloso alibi.

Un collega, una volta, mi raccontò di un colloquio avuto con un genitore.

‒ Suo figlio – dovette comunicargli a malincuore – purtroppo, va proprio male in fisica.

‒ Come è possibile? – domandò il genitore sorpreso – Non capisco… mio figlio è molto interessato agli argomenti scientifici. Pensi che non si perde mai una puntata dei programmi di Piero Angela.

‒ Non ne dubito; anch’io guardo volentieri i programmi di Piero Angela – rispose il collega senza scomporsi – ma pensa che suo figlio sarebbe altrettanto interessato se Piero Angela facesse una puntata di Superquark lunga due ore sul piano inclinato, come facciamo qui a scuola?

Troppo spesso, secondo me, qualche anima pia e volonterosa accarezza l’idea che a scuola sia più opportuno puntare sull’interesse, piuttosto che sulla difficoltà, e la pone perciò all’inseguimento di concorrenti assai più dotati di essa sul piano dell’intrattenimento. Il risultato è drammatico: la scuola continua a interessare poco, e inoltre insegna di meno.

Lo ripeto, dunque: solo esperimenti quantitativi, questo è il nocciolo del mio programma di lavoro. La tabella che segue ne raduna e ne raggruppa per tipologia un discreto numero. Si tratta di 35 esperimenti che ho distillato dalla mia frequentazione del laboratorio. A ciascuno di essi, naturalmente, dovrà corrispondere una dettagliata relazione di laboratorio che essi dovranno apprendere a fare.

misura
di una grandezza generica
misura
di una costante fisica
studio
di una legge

1. misura della lunghezza di un listello di legno

2. incertezza assoluta di una misura

3. incertezza relativa di una misura

4. misura di una temperatura

5. misura del calore specifico di una sostanza

6. misura del calore latente di fusione del ghiaccio

7. misura di una massa prima e dopo una reazione chimica

8. misura del pH durante una reazione di neutralizzazione

9. misura di un intervallo di tempo

10. misura dell’energia meccanica in un oscillatore armonico

11. misura delle frequenze della scala musicale

12. misura di lunghezze d’onda nel campo del visibile

13. misura della capacità di un condensatore

14. misura della pulsazione di un circuito oscillante

15. misura della velocità di un fascio di elettroni

1. misura dell’ordine di grandezza del numero di Avogadro

2. misura dell’accelerazione di gravità

3. misura della costante di gravitazione universale

4. determinazione della costante dei gas ideali tramite una simulazione al computer

1. studio introduttivo di un fenomeno fisico modellizzato

2. legge di Hooke

3. proporzionalità fra massa e volume di una sostanza

4. proporzionalità fra volume di una soluzione satura e massa del soluto

5. legge di Stevino

6. legge fondamentale della calorimetria

7. legge di Boyle

8. simulazione al computer della legge di Gay-Lussac a volume costante

9. legge di Proust

10. legge del moto uniforme

11. legge del moto accelerato

12. seconda legge della dinamica

13. legge di Gay-Lussac a volume costante

14. legge di Coulomb

15. legge di Ohm

16. legge di Lorentz

In realtà le relazioni saranno 36 perché una di esse (Gli esperimenti riescono sempre) va considerata, per così dire, una relazione di servizio. Fermo restando il fatto che tutte le relazioni trattano di esperimenti nei quali sono state eseguite delle misure, mi è parso utile introdurre una classificazione di questi esperimenti. Eccola:

1. esperimenti il cui scopo è eseguire una semplice misura; semplice spesso è solo per modo di dire perché magari si tratta di una misura indiretta che comporta difficoltà non indifferenti;

2. esperimenti volti a determinare la misura di una costante fisica, ragione per cui è possibile confrontare il risultato con un valore atteso;

3. esperimenti volti a determinare una legge fisica.

Buona parte di questi esperimenti sono mirati a riempire una cassetta degli attrezzi, ovvero a costituire un bagaglio metodologico con il quale gli studenti possano affrontare con buon esito ogni successivo impegno tecnico-scientifico. Assodato dunque il fondamento quantitativo di ogni attività scientifica, basato sulla misura, allora i primi attrezzi di questa preziosa cassetta servono a valutare se le misure sono buone; poi verranno quelli basati sui modelli matematici, per decidere se le misure significano qualcosa.

È il primo giorno di lezione e gli studenti non sanno ancora che cosa li aspetta, ma io ho un’idea ben precisa di quello che intendo fare: non li inseguirò vanamente cercando di rendere facile e divertente il loro lavoro. Li precederò, ma non troppo, facendo in modo che siano loro ad inseguirmi, senza mai prendermi, senza mai perdermi.