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Autunno: la prova

17. Come perdere le ali e cascare in piedi

Ricapitolando: avevo incominciato a mettere alla prova il mio obiettivo didattico, il programma di lavoro e il metodo per svolgerlo; mi mancava solo di collaudare il criterio di valutazione per considerare finalmente conclusa la mia trasformazione da scudiero a cavaliere. In parole povere: dovevo cominciare a mettere dei voti come ultima – e non meno importante – conseguenza del celeberrimo articolo 5, comma 1, lettera a.

Stavo per perdere, quindi, quello stato di verginità valutativa con il quale ero andato incontro agli studenti per 28 anni, ovvero fin dai tempi in cui la minaccia di un brutto voto – Se non mi ascoltate vi metto quattro a tutti – era solo umorismo involontario.

Poteva accadere, invece, che se il collega di teoria ammollava un votaccio il destinatario studente venisse a querelarsi con me della iniquità del collega o della propria dissennatezza. Infatti, io ero indubitabilmente un professore, da trattare quindi come si deve trattare un professore, da apostrofare con il lei e da vilipendere con un adeguato soprannome, ma siccome avevo ben poca voce in capitolo nel decidere della sorte scolastica degli studenti ero anche considerato da loro con una rispettosa fraternità.

Diversi anni prima, incontrando un ex studente degli anni ancora più lontani – ma sarebbe meglio dire: essendo stato da lui riconosciuto – venni a sapere una cosa che avevo ignorato fino a quel momento.

‒ Lo sa qual era il suo soprannome, prof? – mi domandò a bruciapelo, dopo un po’ di convenevoli.

‒ No. Qual era? – gli chiesi con una certa apprensione.

‒ Peter Pan.

Ho capito bene? Peter Pan? Stiamo parlando cioè di quel giovanottello alato, un po’ petulante, ma dopotutto simpatico e leale? Caspita! Vedo snodarsi una fila interminabile di colleghi pronti a firmare senza condizioni per essere soprannominati Peter Pan dai propri studenti (Trilly per le colleghe).

Sempre che non ci fosse dietro qualche feroce gioco di parole – gli studenti possiedono una innata malvagità in questo genere di cose – Peter Pan mi andava benissimo, solo che adesso avevo il registro e dovevo riempirlo di voti dall’uno al dieci, come voleva la competente autorità ministeriale, perciò temevo tanto di perdere le ali.

Decisi che se dovevo perdere le ali, almeno volevo cascare in piedi. Feci perciò del mio meglio per accontentare la mia coscienza, cercando di escogitare un sistema per amministrare la distribuzione dei voti che fosse equo, chiaro e replicabile.

Quanto ad accontentare gli studenti, devo ammettere che consideravo l’impresa già persa in partenza, perché c’è poco da fare: un cinque dispiace, un quattro brucia, un tre offende, e lasciamo stare il resto. Tuttavia nutrivo la speranza che, con un lavoro accorto, potevo obbligarli a sospirare sui propri colpevoli errori, invece di recriminare su quelli del docente. Questo lavoro accorto è consistito essenzialmente in tre precise attività:

1. elaborare un criterio organico di valutazione;

2. presentarlo agli studenti e discuterlo con loro (discutere nel senso di spiegare, non di negoziare);

3. applicarlo sistematicamente e senza alcuna deroga.

In realtà, ci sarebbe anche un quarto punto da considerare:

4. confidare nel buon funzionamento del criterio.

Di questo ultimo punto, però, parlerò diffusamente più avanti (Ma quante relazioni ho corretto?).

Insomma, come ho cercato di spiegare finora, gli studenti dovevano sforzarsi di raccontare in temperate parole gli esperimenti scientifici che erano chiamati a svolgere nel corso di cinque anni, ma io, come dovevo regolarmi per dire oggettivamente se ci riuscivano o meno?

Il criterio di valutazione tentava di individuare un generico esperimento di natura quantitativa sul quale ricalcare una corrispondente generica relazione scritta.

abilità da acquisire risultato atteso punteggio massimo
Leggibilità
impaginazione gradevole 0,5
grafia leggibile 0,5
tabelle equilibrate 0,5
schemi, disegni, grafici accurati 0,5
Consistenza
scopo preciso 0,5
inquadramento scientifico consistente 1
descrizioni esaurienti 1
risultato evidente 0,5
Correttezza
notazione adeguata 1
formulazione matematica appropriata 1
calcoli corretti 1
Fecondità
osservazioni illuminanti 1
proposte feconde 1
totale 10

Pensai prima di tutto che fosse necessario delimitare alcune grandi aree sulle quali applicare la valutazione, e la scelta cadde sulle seguenti quattro:

1. leggibilità;

2. consistenza;

3. correttezza;

4. fecondità.

Una relazione, infatti, prima di tutto è un testo scritto, variamente arricchito di tabelle, figure e grafico, e quindi deve poter essere letta in tutti i sui aspetti con la massima facilità.

Mettere il lettore a proprio agio, tuttavia, comporta qualche rischio. Se hai scritto delle sciocchezze, infatti, sarà più facile individuarle. D’altra parte, la principale qualità che si richiede ad un lavoro scientifico è che sia consistente, ovvero che svolga un discorso organico e sensato, quantunque discutibile. Questa è la seconda caratteristica della quale sono andato alla ricerca nel leggere le relazioni dei miei studenti.

Naturalmente, spesso gli studenti sono maestri insuperabili nello svolgere bei discorsi sensati e poi crollano miseramente sbagliando calcoli banali oppure giungono a risultati ineccepibili ricorrendo però ad esoterici passaggi degni della più oscura tradizione cabalistica. Anche questo, naturalmente, ha il suo peso.

Infine, la fecondità. Ridacchiano e si danno di gomito quando arrivo a spiegare quest’ultima quarta area della valutazione. Non c’entra con la riproduzione sessuata, questo lo capiscono benissimo da soli, ma non c’è niente da fare, ad una certa età basta una parola un po’ obliqua per scatenare gli ormoni. Potevo anche chiamarla creatività, lo ammetto, volendo riferirmi alla parte più nobile di un lavoro scientifico, ovvero quella ove si riflette criticamente sui risultati e si proietta lo sguardo al futuro. Ma si tratta di una parola ormai troppo abusata e poi, lo ammetto, ci godo un poco quando gli studenti ridacchiano e si danno di gomito.

Ho associato ad ogni area un punteggio, facendo in modo che la somma dei punti desse dieci, dimodoché ad una relazione ineccepibile potessero corrispondere dieci punti e dunque – fino a prova contraria – il voto dieci. Non ho attribuito però il medesimo punteggio alle quattro aree; infatti ho dosato i punti in maniera che ad un corpo di abilità fondamentali corrispondesse la sufficienza. Ho pensato che in questo corpo dovessero rientrare la consistenza e la correttezza, ed è per questa ragione che la somma dei punti di queste due aree dà sei. In altri termini, ho ritenuto ragionevole che una relazione più indecifrabile degli appunti presi sulle montagne russe, corredata di tabelle simili a zanzariere e di grafici piccoli come francobolli o colorati come una collezione di moda per il mare, debba essere comunque considerata sufficiente, a patto però che si riveli – dopo un attento esame – consistente e corretta. Se poi si è lasciata anche esaminare con grande facilità, allora l’otto è assicurato.

Per il dieci, invece, ci vuole quel nonsoché in più che è impossibile definire in anticipo. La fecondità, appunto.

‒ Perché non mi ha dato neanche mezzo punto nelle osservazioni? Ho scritto mezza pagina.

Questa è una domanda che mi sono sentito rivolgere tante volte, soprattutto durante la restituzione delle prime relazioni corrette, e generalmente in buonafede.

‒ Perché non hai detto delle cose veramente interessanti. D’altra parte non devi scoraggiarti, perché non è possibile dire cose intelligenti a bacchetta – è stata sempre la mia risposta – Credo che neppure Einstein si svegliava ogni mattina dicendo una cosa intelligente. Se insisti, però, vedrai che prima o poi riuscirai a prendere quel mezzo punto. Hai capito?

‒ Sì. E per l’altra mezza pagina di proposte?