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Primavera: la maturità

35. Ma allora è vero!

Se vogliamo parlare di cose veramente da non credere, però, bisogna volgere l’attenzione a un altro esperimento. Cominciamo dalla teoria.

‒ La gravità è una proprietà dei corpi dotati di massa che induce tali corpi ad attirarsi reciprocamente. Si chiama forza di gravità la forza F che agisce fra questi corpi; essa dipende dall’entità delle rispettive masse m1 ed m2 e dal quadrato della distanza d che le separa. In formula si può scrivere pertanto che:

dove G è una costante di proporzionalità che vale 6,67 · 10-11 N · m2 · kg-2. Siccome il fenomeno della gravità è esteso a tutto l’universo conosciuto la costante G prende il nome di costante di gravitazione universale. Il suo valore, come si vede, è molto piccolo e ciò significa che la forza di gravità è del tutto irrisoria, a meno che essa non dipenda da masse smisurate, come la massa terrestre. In questo caso, la forza di gravità viene definita peso, ovvero la forza che ci mantiene tutti costantemente soggetti al terreno. Normalmente, però, la forza di gravità è insignificante, a causa delle piccole masse fra le quali essa si esercita, sebbene si possa dire con certezza che essa è presente fra tutti gli oggetti, anche quelli più piccoli, per esempio fra questa sedia e quella lavagna. D’accordo?

‒ D’accordo.

Mi sono dimenticato di premettere a questo discorsetto didascalico che esso in realtà non era diretto agli studenti, bensì ai docenti. In altre parole, si tratta di un rapido ripasso di cognizioni – peraltro ben note – che ci siamo fatti a vicenda, fra colleghi, prima di rivolgerci reciprocamente l’altra domanda, quella da un milione di euro.

‒ Ma tu ci credi veramente?

La domanda sembra sciocca, ma non è così, perché un conto è essere persuaso, un conto è credere. La persuasione, infatti, discende dallo sguardo della mente che osserva, riflette e infine vede al di là delle apparenze sensibili; la credenza, invece, discende semplicemente dai sensi, in particolare della vista, è molto soggetta al senso comune e facilmente può generare inganni.

Per queste ragioni è molto difficile accettare il fatto che la terra e un fuscello che cade sono due corpi che si attirano reciprocamente.

Reciprocamente! Come si fa a credere che la terra attrae il fuscello esattamente come il fuscello attrae la terra? Il nostro robusto senso comune ci induce a pensare che la gravità sia una specie di instancabile idrovora a secco che tutto attira a sé. Fosse per noi, ce ne andremmo a zonzo, di qua e di là, senza il carico di questa soma che la Terra ci butta addosso instancabilmente. Figuriamoci, quindi, credere anche che una sedia e una lavagna veramente si attirano a vicenda, sospinte da una forza che, per il nostro modo di vedere le cose, appartiene soltanto alla Terra.

Albert Einstein, se potesse, adesso sarebbe qui a correggerci dicendo che in realtà non c’è alcuna forza che attira alcunché; semplicemente, la massa deforma lo spazio circostante producendo dei cunicoli quadridimensionali che tutti noi siamo obbligati a percorrere. Sarà pure così, ma cadere è un’altra cosa. E le sedie non volano incontro alle lavagne. E viceversa.

Ciò non significa, d’altra parte, che non vi possa essere un perfetto accordo fra lo sguardo della mente e la vista. Naturalmente, in caso di conflitto, è la seconda a dover cedere il passo alla prima, una cosa che è accaduta molte volte durante il cammino della scienza. Ma quando ciò non avviene, ovvero quando la vista si accorda con lo sguardo della mente, allora la conoscenza scientifica si arricchisce di un pregio aggiuntivo: il palpito dell’emozione che per noi, esseri dotati di sentimento, è sicuramente metà del tutto.

Dunque non era una domanda sciocca quella che un pomeriggio ci siamo scambiata fra colleghi, prima di ripetere in una scuola deserta e silenziosa l’esperimento con la bilancia di Cavendish che doveva rivelare alla fervida vista, e non solo allo sguardo della mente, l’esistenza indubitabile della sfuggente forza di gravità.

La bilancia di Cavendish è uno strumento capriccioso, delicato, sensibilissimo e più costoso di un motorino – dettaglio sul quale tornerò più avanti – ma in fin dei conti è un aggeggio banale.

Essa consiste essenzialmente in un bilanciere, come quelli che si usano in palestra per farsi i muscoli, ma molto più piccolo. Il bilanciere è sospeso per il baricentro a un lungo filo elastico. Abbandonato a se stesso esso oscilla delicatamente su un piano orizzontale, torcendo il filo al quale è sospeso, finché non si arresta in una posizione di riposo. Il sistema è così delicato, tuttavia, che il processo di smorzamento delle oscillazioni può portare via anche mezza giornata.

L’idea di Cavendish fu questa: se si dispongono due grandi masse fisse a fianco delle masse che si trovano alle due estremità del bilanciere ciò dovrebbe influenzare le sue oscillazioni. In questa nuova condizione, infatti, esso dovrebbe oscillare attorno ad una nuova posizione di riposo perché la forza di gravità che agisce fra le masse dovrebbe modificare la condizione di equilibrio del sistema.

Nello schema si vede che la presenza delle due grandi masse nella posizione A dovrebbe costringere il bilanciere a oscillare attorno ad una posizione di riposo ruotata in senso orario rispetto a quella che esso assumerebbe in assenza di tali masse.

Sia ben chiaro che io parlo di oscillazioni, e di rotazioni che sono a dir poco irrilevanti. Ad occhio nudo, infatti, il bilanciere neppure sembra muoversi, tanto è minuscola la sua rotazione ed estenuante il periodo delle sue oscillazioni.

Per fortuna, un sistema ottico basato su un laser è in grado di amplificare almeno l’ampiezza delle oscillazioni in modo da renderle apprezzabili.

In pratica il raggio del laser, dopo aver colpito uno specchietto posto sul bilanciere, viene riflesso sulla parete opposta e si trasforma in un luminosissimo puntino rosso, il quale, in accordo con l’oscillazione del bilanciere, percorre avanti e indietro una scala centimetrata lunga circa due metri. La figura mostra il laser e una realizzazione ad uso didattico della bilancia di Cavendish. Sono visibili chiaramente le due grandi masse fisse, mentre il bilanciere e il filo di sospensione non sono visibili perché sono incapsulati in una protezione che li mette al riparo dalle perturbazioni dell’aria.

L’esperimento si svolge in questo modo: inizialmente si dispongono le grandi masse nella posizione A dello schema, in modo da favorire una rotazione della posizione di riposo del bilanciere, e si registrano alcune oscillazioni; in seguito si spostano rapidamente le grandi masse dalla posizione A alla posizione B, in modo che venga favorita una controrotazione della posizione di riposo del bilanciere, e si registrano nuovamente alcune oscillazioni.

Ma qui si consuma il dramma. Appena modificata la posizione delle masse si manifesta la prevedibile ma spettacolare catastrofe. Non parlo del collasso gravitazionale di una buco nero, parlo più semplicemente del comportamento anomalo di un lumachino rosso che rivela il fatto inoppugnabile che qualcosa di straordinario è accaduto.

Il dramma è stato immortalato per ben due volte. Il grafico, infatti, mostra le posizioni del punto rosso sulla scala centimetrata registrate ogni 30 secondi. Non bisogna dimenticare che queste posizioni costituiscono un riflesso amplificato delle posizioni del bilanciere soggetto alle interazioni gravitazionali con le masse fisse.

Ebbene, nell’andamento del grafico si notano con chiarezza due zone singolari, se si escludono i primi 500 secondi, durante i quali sono stati registrati dei dati un po’ confusi a causa della iniziale messa in oscillazione del sistema:

1. l’intervallo che va da 1700 a 1800 secondi circa;

2. ’intervallo che va da 3100 a 3200 secondi circa.

In entrambi questi brevi intervalli, infatti, si nota che, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe – ovvero un progressivo e prevedibile smorzamento dell’oscillazione del bilanciere – si manifestano invece, rispettivamente:

1. una brusca inversione della direzione dell’oscillazione;

2. un cospicuo aumento dell’ampiezza di una oscillazione che sembra ormai prossima a estinguersi.

In realtà non c’è proprio nulla di imprevedibile in questo comportamento. In entrambi i casi, infatti, è stata istantaneamente mutata la posizione delle masse fisse durante l’oscillazione, portandole prima da A a B, nello schema, e poi viceversa. Nel primo caso questo mutamento ha contrastato l’oscillazione, mentre nel secondo caso essa lo ha assecondato.

Dire che abbiamo pianto, non posso dirlo, però l’emozione è stata grande. Che altro poteva aver sconquassato quel placido andamento dell’oscillazione del bilanciere verso l’estinzione asintotica? La forza di gravità, che altro? D’accordo, non era un collasso gravitazionale, ma c’era qualcosa di ugualmente drammatico in quel fenomeno. Nel grafico si nota chiaramente un ginocchio nell’andamento della curva, un brusco cambiamento di rotta, come se un’imperiosa e prepotente volontà avesse voluto tutt’a un tratto cambiare un disegno prestabilito.

‒ Ragazzi – dice qualcuno, ricorrendo all’appellativo impiegato di solito fra adulti quando si vuole sottolineare qualche cosa di memorabile, anche se il colore e il numero dei capelli è cambiato ormai da un pezzo per poterlo usare con pieno diritto – l’abbiamo vista.

Ma eccola manifestarsi di nuovo con prepotenza nel secondo dramma. L’oscillazione si stava impigrendo, quando avviene di nuovo qualcosa. Una nuova posizione delle masse fisse modifica bruscamente le forze all’interno del sistema e quest’ultimo è costretto a prolungare la propria oscillazione per raggiungere una nuova situazione di equilibrio.

‒ Ma allora è vero! La forza di gravità è presente fra tutti gli oggetti, anche quelli piccoli, per esempio fra questa sedia e quella lavagna. Questa piccolo aggeggio ce lo ha mostrato senza ombra di dubbio.

‒ Perché? Qualcuno dubitava?

Fin qui il convegno fra colleghi, più vaghi di emozioni che bisognosi di cognizioni.

Con gli studenti, comprensibilmente, il discorso si prospetta un po’ diverso. Messa a punto accuratamente la metodica dell’esperimento, il quale – sia detto di passaggio – è fra i più tignosi che mi sia mai capitato di svolgere, passo a coinvolgere i discenti sulla mirabile manifestazione della forza di gravità appena rivelatasi agli occhi dei docenti.

Formalmente lo scopo dell’esperimento è rappresentato dalla determinazione della costante di gravitazione universale (vedi lista degli esperimenti). Non va dimenticato, infatti, il mio tenace assillo di proporre solo esperimenti quantitativi.

Tuttavia non posso negare che la protagonista della rappresentazione scientifica che va in scena questa volta è proprio essa, la sfolgorante forza di gravità fra sedie e lavagne; la costante di gravitazione dovrà accontentarsi di un ruolo di secondo piano. Abbondo senza moderazione in superlativi annunciando agli studenti l’esperimento.

‒ Vedrete mirabili cose, e dopo aver visto queste cose non sarete più gli stessi di prima. E domani, nelle fredde sere d’inverno, davanti al caminetto acceso, narrerete ancora ai vostri nipoti, avidi di meraviglie, di quella volta che foste testimoni di uno straordinario evento al quale non avete mai più assistito nella vostra vita…

‒ Eh, prof…

Però qualcuno abbocca. L’inizio è il solito. Si riprende il discorso che il collega di teoria ha già dato in pasto agli studenti, sollecitando una giudiziosa ruminazione.

‒ La gravità è una proprietà dei corpi dotati di massa che induce tali corpi ad attirarsi reciprocamente. Si chiama forza di gravità la forza F che agisce fra questi corpi; essa dipende…

Gli studenti ascoltano, prendono appunti. A un certo momento arriva il punto cruciale delle lavagne e delle sedie. Dalle sedie scivolo sugli umani, in quanto entità dotate di massa. Confesso che alle volte, nel fervore didattico, faccio qualche passo falso. Me ne accorgo dagli sguardi birboni di alcuni studenti che adocchiano le studentesse. Sorvolo sugli effetti della mia imprudente generalizzazione e pongo la fatidica domanda:

‒ Ma voi ci credete?

La risposta arriva istantanea, come una pallina da tennis che rimbalzi sull’intreccio elastico della loro rete di neuroni.

‒ No.

A questo punto sono maturi per essere introdotti alla delicatezza e alla sensibilità della bilancia di Cavendish: il bilanciere, il filo, le masse mobili, le masse fisse. Come ho già detto, l’oscillazione del bilanciere si manifesta nel calmissimo andirivieni orizzontale di un puntino luminoso proiettato su una parete. Non appena qualcuno muove una sedia, però, il puntino luminoso viene assalito istantaneamente da una frenesia oscillatoria in senso verticale che si estingue solo quando tutti i presenti restano pietrificati al proprio posto, possibilmente trattenendo il respiro. Cioè mai.

Ma la classe si assoggetta volentieri alla richiesta di una forzata delicatezza nei gesti: tutti restano al proprio posto, parlano sottovoce e si muovono il meno possibile; e se proprio devono raggiungere un banco adiacente lo fanno come palombari che camminano sul fondo dell’oceano, mentre ti guardano in silenzio, come per dire:

‒ Prof, sto andando bene così?

È una situazione quasi irreale e il docente non può evitare che un pensiero ignobile gli attraversi il cervello mentre sorride benevolmente:

‒ Ci vorrebbe un Cavendish tutti i giorni.

Rassicurato dal comportamento civilissimo degli studenti il puntino luminoso si cheta un poco, riducendo la propria oscillazione verticale ad un lieve dondolio, come di un sughero che vada lentamente alla deriva sulle onde. Dopo un po’ siamo tutti magnetizzati nel seguire, ciondolando un po’ con la testa, il movimento del puntino rosso sulla scala centimetrata.

‒ 107 centimetri – dichiara lo studente addetto a leggere la posizione sulla scala centimetrata.

‒ 107 – conferma quello preposto a registrare i dati sul computer.

‒ 106 centimetri – dopo una trentina di secondi il lettore aggiorna la posizione.

‒ Si sta fermando – commenta qualcuno.

‒ Fra un po’ torna indietro.

Mi sembra di assistere a una partita di tennis al rallentatore. C’è un’atmosfera ovattata, gli spettatori girano la testa di qua e di là come se fossero in uno stato catalessi ipnotica, e fanno un tifo da convento di clausura; eppure l’impazienza serpeggia nella classe.

A questo punto decido è arrivato il momento di cambiare la posizione delle masse fisse. Devo precisare che, sia le masse fisse, sia le masse mobili, hanno una forma sferica – cosa, peraltro, più che naturale – e che la bilancia è dotata di un comodo dispositivo che permette di cambiare di posizione alle masse fisse per mezzo di una rapida e precisa rotazione di un apposito sostegno. Preparo perciò una trappola per gli studenti, mentre faccio sfarfallare le dita per predisporle ad un movimento di destrezza.

‒ Che dite, ruoto? – domando agli ignari.

‒ Ruoti, prof, ruoti.

‒ D’accordo, ma allora è vero che gli studenti mi fanno girare le palle – commento distrattamente, mentre eseguo tempestivamente il trasferimento delle masse fisse.

Mi guardano come un mentecatto. Qualcuno sorride, di un sorriso pietoso. Lo sapevo. È sempre così. A una certa età le battute sono come le canzoni: non c’entra la musica, c’entra la generazione. Loro ascoltano le canzoni che a te fanno ancora venire un nodo alla gola come se ascoltassero lo scarico del lavandino. E viceversa. Non importa che siano belle o brutte; sono cose d’altri tempi. E così è per le battute.

Non sono mai riuscito a far sbellicare dalle risate un adolescente e non credo perché non sono mai riuscito a dire – almeno una volta – qualcosa di irresistibilmente spiritoso; semplicemente, quando si hanno sedici anni è il nonno che non fa ridere. Una volta, però, ignaro della mia battuta, Giovanni V. intitolò la propria relazione Una bilancia con le palle e prese dieci, il che dimostra inequivocabilmente due cose:

1. Giovanni è un ragazzo spiritoso ed anche è molto bravo a fare le relazioni;

2. io non sono un insegnante vendicativo.

Ma mentre io perdo tempo raccontando queste sciocchezze il puntino luminoso ha continuato a muoversi, però ha preso una strada inattesa: in realtà proprio quella che mi aspettavo.

‒ 106 centimetri – dichiara il lettore ufficiale, e poi, dopo mezzo minuto – 105 – e poi ancora – 105.

Si è fermato. Adesso torna indietro.

No, prosegue! Avete visto? Avete visto? La forza di gravità

L’esperimento, almeno sotto il profilo qualitativo, è riuscito. Sono soddisfatto?

Ricapitoliamo. Prima li ho lusingati, poi li ho eruditi, e infine li ho coinvolti in questo evento singolare. Essi sono stati davvero bravi e pazienti, visto che sono rimasti quasi due ore immobili e in silenzio a contemplare un puntino rosso che pigramente se ne andava a spasso per la parete, il che non è proprio un trattenimento entusiasmante. Ora sono un po’ perplessi e un po’ delusi.

Io credo che essi abbiano afferrato il senso di quello che è successo, anche se in realtà non sanno ancora che verranno lessati con una estenuante spiegazione matematica sul modo per ricavare dalle posizioni del puntino luminoso la costante di gravitazione universale. Però forse si aspettavano qualcosa di più strepitoso, qualcosa che si addicesse meglio al loro insaziabile appetito di spettacolo. Sono incerti, perplessi, forse pensano:

‒ Ma può esistere uno spettacolo senza effetti speciali e diluvio di decibel?

Naturalmente, qualcuno sembra più impressionato, qualcuno è più distratto. Molti di loro sfilano davanti alla bilancia per vedere quale poca cosa sia, vista da vicino, e quale minima quantità di massa ha prodotto l’effetto sensibile che hanno appena osservato. Fanno alcune domande tecniche. Sono incerti. Inappagati, ma consapevoli. Il laser è stato spento, il puntino rosso è sparito dalla parete. Mancano pochi minuti alla campanella. Mi sembra che manchi loro qualcosa, eppure hanno capito che, tutto ciò che doveva succedere, è successo. Sono disorientati.

‒ Ci sono altre domande? – chiedo.

‒ Quanto costa? – domanda uno fra quelli che è rimasto meno impressionato.

Non mi lascio sorprendere; mi aspetto la domanda.

‒ Più o meno come un motorino – rispondo provocatoriamente.

‒ Quel po’ di ferraglia? – chiede allibito.

Confermo la risposta. Lo studente mi guarda con uno sguardo di commiserazione. Provo a interpretare:

‒ Ma se davvero vuole provare i brividi – vorrebbe dirmi – perché non si compra un vero motorino?