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Primavera: la maturità

37. Il circo Faraday

Solo esperimenti quantitativi: questa è stata la regola che ha ispirato tutta la mia attività di laboratorio in questi ultimi sette anni, come ho già spiegato a lungo. Ogni regola, però, merita almeno una eccezione, e questa affermazione è essa stessa una regola che io ho voluto rispettare. Per questa ragione eseguo di norma solo esperimenti quantitativi ma talvolta mi concedo il lusso di un circo didattico, residuo della mia antica attività di scudiero.

Ma che cosa è di preciso – o per meglio dire: che cosa era – un circo didattico? Lo spiego con un esempio: il collega di teoria veniva da me e mi faceva questo semplice discorsetto:

‒ Ho appena finito di spiegare le onde (riflessione, rifrazione, interferenza…), possiamo fargliele vedere sull’ondoscopio?

‒ Naturalmente – rispondevo io.

Questa risposta preludeva alla rappresentazione del circo ondulatorio. Proprio come fa il prestigiatore con il cilindro magico, io trafficavo misteriosamente attorno all’ondoscopio, che è un meraviglioso apparato, dalle finalità squisitamente didattiche, che consente di dare una dimostrazione qualitativa dei fenomeni ondulatori. Grazie a un sistema stroboscopico si possono infatti osservare le onde ferme – ciò che retoricamente si definisce un ossimoro – e studiarle con agio.

Io ruotavo manopole, regolavo posizioni, registravo viti, e alla fine tiravo fuori da quell’arnese l’equivalente del bianconiglio dal cilindro, cioè una bella figura di diffrazione con tracce evidenti di interferenza. Applausi. Altro numero. Applausi. Sipario.

Ma c’era anche il circo termico, il circo elettrostatico, o circo Coulomb e il mio preferito, il circo Faraday, vale a dire il circo induttivo. Ripetere tutte le volte alcuni degli elementari ma storici esperimenti di Michael Faraday mi ha dato sempre una soddisfazione immensa. Finisco sempre per commuovermi quando vedo l’ago del galvanometro che accenna a un debole movimento quando un magnete attraversa la bobina alla quale il galvanometro è collegato.

‒ È corrente, questa che vedete? – domando alla classe raccolta a capannello intorno al galvanometro.

‒ Sì – rispondono tutti i coro.

‒ Chi la paga? – m’informo col tono di chi fa una domanda assennata.

‒ In che senso? – prende tempo qualcuno.

‒ Vi domando: chi paga questa corrente? – mi mostro vagamente infastidito per la loro perplessità – Non si paga la corrente? Oppure è gratis?

Un mormorio leggero si leva nell’aria. Hanno annusato aria di commedia, ma non sanno come comportarsi.

‒ La scuola? – azzarda qualcuno dubbioso.

Perbacco, come amo questo istante! Se la classe è attenta e i numi sono propizi c’è davvero il rischio che capiscano veramente la legge di Faraday-Neumann-Lenz che non è altro che una manifestazione del principio di conservazione dell'energia.

Alla fine, il colpo di scena: prendo uno stretto tubo di plastica, lungo circa un metro e mezzo, e ci lascio cadere dentro, mentre mantengo il tubo verticale, uno di quei magnetini usati per l’esperimento sull’accelerazione di gravità (Ancora lasagne). Il magnetino naturalmente cade sul banco, sbucando fuori quasi istantaneamente dalla parte opposta.

Bene – dico tra me e me – se deve essere circo, allora che sia circo in tutto e per tutto. E al circo ci sono anche i pagliacci. Mi rivolgo alla classe:

‒ Lorsignori hanno visto? Non sono, a dir poco, stupefatti di quello che hanno appena visto? – domando con eccitazione.

‒ Di che cosa dovremmo essere stupefatti, scusi, prof?

‒ Ebbene, questo fantastico esperimento è composto di due parti – spiego – la prima parte, alla quale voi avete appena avuto l’onore di assistere, è riuscita perfettamente, perché è accaduto esattamente quello che doveva accadere. Possiamo dire, perciò, che metà dell’esperimento è stata un successo. Non vi pare già un buon risultato?

‒ Se lo dice lei…

‒ Benissimo. E ora tenetevi forte, perché comincia la seconda parte…

Prendo un tubo di alluminio, del diametro e della lunghezza di quello di plastica, e ci lascio cadere dentro, sempre tenendolo in verticale, il magnetino.

Dopo due secondi, del magnetino, ancora nessuna traccia sul banco. Solo dopo almeno quattro secondi esso si decide a uscire dall’altra estremità, posandosi con un debole urto sul banco. Le correnti di Foucault, come le sirene con Ulisse, hanno cercato strenuamente di arrestare il viaggio del magnetino nel tubo, avvolgendolo con circonvoluzioni infinite, ma senza riuscirci.

‒ Eh? Allora, che ne dite?

Cadono letteralmente dalla sedia. Se volete vedere uno studente che cade dalla sedia per la meraviglia – uno spettacolo più raro dell’avvistamento di una balena nella laguna di Venezia – dovete fare questo esperimento. Lo stupore è garantito. L’apprendimento quasi altrettanto.

Il circo induttivo, una volta, mi è quasi costato la vita, ma resta il mio preferito. Volevo sfruttare la presenza in laboratorio di una presa trifase per mostrare agli studenti la produzione del campo magnetico rotante, il quale riesce a mettere misteriosamente in rotazione un disco di rame quando lo avvolge completamente.

Ero solo in laboratorio in un’ora buca, come si denomina nel gergo scolastico un'ora libera fra due ore di lezione, e armeggiavo sui morsetti di un autotrasformatore che, per mia colpevole distrazione, era già stato collegato alla presa elettrica…

Ed è stato in quel momento che l’ho sentita.

O per meglio dire, che ho sentito il suo morso, poderoso e fremente, che mi squassava come un fuscello, rendendomi del tutto incapace di sottrarmi alla sua presa, nonostante la volontà si opponesse disperatamente. Parlo della scossa elettrica a 380 volt, la tensione cosiddetta industriale.

Ricordo le mani che tremavano davanti ai miei occhi mentre stringevano i fili dell’autotrasformatore. A un certo punto i fili sono venuti casualmente a contatto ed è scattata la protezione che ha tolto tensione alla presa.

Io sono rimasto prostrato per un istante, poi non ho trovato niente di meglio da fare che mettermi a saltellare freneticamente tra i banchi del laboratorio, sia per scaricare la tensione accumulata – lo so che questo non è un concetto molto scientifico, ma sono certo che chi legge sorvolerà sul particolare – sia per sottolineare selvaggiamente il fatto che ero ancora vivo.

Ho ridotto drasticamente la didattica circense in questi ultimi sete anni, non tanto per la sua pericolosità, come forse qualcuno potrebbe pensare dopo il racconto di questo aneddoto, ma per la sua natura intrinsecamente qualitativa che si presta male ad essere inquadrata e valutata con i miei criteri di valutazione .

Non ho affatto smesso, per esempio, di produrmi nei numeri del circo induttivo – escluso il campo rotante – ma mi concedo questi spunti didattici solo per il piacere di farlo, magari a richiesta del collega di teoria, senza poi chiederne conto per iscritto agli studenti, cosa che alla fine mi gioco spassosamente come un autentico coup de théâtre.

‒ Prof, la relazione, come al solito, è per la settimana prossima?

‒ Niente relazione questa volta.

‒ Niente relazione?

‒ Niente relazione.

‒ Ma veramente, prof?