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Inverno: la riflessione

25. Esperimenti reali, esperimenti simulati

Bisogna ammetterlo: fare un esperimento procura molta soddisfazione. E se l’esperimento è chiaro, rigoroso e produce risultati apprezzabili, allora anche molti studenti, alla fine, non sanno sottrarsi al fascino che esso esercita sulla mente dello sperimentatore. Ammirare la Natura che dà un piccolo spettacolo, dopo che è stata faticosamente addomesticata, è un’esperienza che tutti dovrebbero provare, almeno una volta nella vita. Non c’è affascinante documentario che valga la decima parte di quanto vale assistere direttamente al manifestarsi di una regolarità della Natura, alla quale riusciamo a far indossare, almeno per un istante, un’elegante veste matematica tagliata e cucita per l’occasione.

Ma anche simulare un esperimento con il computer può essere fonte di grande soddisfazione, a patto che si tratti di una vera simulazione, e non di un surrogato, come avviene in certi casi.

L’internet, per esempio, pullula di applet – piccole applicazioni che in apparenza simulano veri esperimenti scientifici. Quando vengono avviate, dopo aver impostato dei valori in ingresso, si assiste a un grazioso teatrino e si ottengono dei risultati conseguenti. In realtà, la simulazione non fa altro che applicare una determinata legge scientifica rivestendola di una graziosa animazione.

Prendiamo ancora una volta, per esempio, l’ormai familiare legge di Boyle: ecco un pistone virtuale in grado di comprimere un’altrettanto virtuale quantità di gas contenuta in un cilindro inevitabilmente virtuale. Se con il mouse proviamo – virtualmente, s’intende – a premere sul pistone, notiamo che l’indicatore della pressione cresce sensibilmente, mentre il volume del contenitore diminuisce in proporzione inversa: ecco dunque simulata la legge di Boyle.

Credo che non ci sia alcun bisogno di sottolineare il fatto che tutto ciò non simula proprio un bel niente, casomai offre una icastica rappresentazione del fenomeno, ma niente di più.

Non tutte le simulazioni che si trovano in circolazione, tuttavia, sono banalità ben dissimulate. Sempre navigando in rete, per esempio, ho trovato delle pregevoli e talvolta straordinarie simulazioni del modello cinetico dei gas. Il problema di queste simulazioni, però, sta nel fatto che esse risultano utili soprattutto a chi conosce già abbastanza bene l’argomento; per tutti gli altri – in primo luogo gli studenti – si tratta solo di un mediocri videogiochi, poiché l’essenza del fenomeno simulato appare così abilmente mimetizzata nell’efficace rappresentazione dei risultati da risultare di scarso valore didattico.

Eppure non si può negare il fatto che la simulazione con il computer è diventata oggi una risorsa insostituibile nel mondo della scienza e della tecnica e secondo me è necessario dedicare un po’ di tempo a questo argomento anche a scuola.

In primo luogo, perciò, affrontando l’argomento dei gas, ho deciso di svolgere finalmente il troppe volte annunciato esperimento sulla legge di Boyle. Lo faccio alla vecchia maniera, ricorrendo a strumenti di misura virtuali, come quelli impiegati nei sistemi di acquisizione dei dati, ma eseguendo misure reali. Successivamente provo a battere la strada della simulazione con una variante della legge di Gay-Lussac a volume costante (vedi la lista degli esperimenti).

Ho cercato di realizzare un’applicazione che fosse equidistante sia dall’inutile sceneggiata, sia da una troppo levigata concettosità.

Essa è in grado di simulare il movimento di un certo numero di biglie sopra un tavolo da biliardo, un movimento analogo, perciò, a quello manifestato dalle particelle di un gas in un recipiente chiuso. Le biglie si muovono senza attrito, con velocità costante, e rimbalzano contro le sponde del biliardo nel modo che tutti conoscono intuitivamente.

La peculiarità di questa simulazione consiste nel fatto che l’applicazione esegue il minor numero possibile di calcoli su dati registrati, lasciando perciò all’utente il compito di svolgere l’elaborazione vera e propria. Questo consente di tenere il più possibile sotto controllo il processo di simulazione.

Raduno la classe davanti a un grande schermo e dò inizio alla simulazione. Prima di tutto appoggio sul tavolo una sola biglia ferma ma dotata potenzialmente di una certa velocità che è possibile leggere sullo schermo. A questo punto avvio il sistema e osservo la biglia che, senza mai rallentare, va a sbattere continuamente contro le pareti del tavolo, rimbalzando esattamente nel modo in cui l’esperienza quotidiana ci ha abituato.

Contemporaneamente, però, richiamo anche l’attenzione sull’indicatore degli urti il quale – un impatto dopo l’altro – li registra tutti, senza mai distrarsi. La cosa importante è che gli studenti possono partecipare al conteggio, controllando tutti insieme che il contatore esegua correttamente il proprio compito. Soprattutto essi possono verificare che non c’è assolutamente nulla di speciale in quello che succede: potremmo essere di fronte a un biliardo reale, con una biglia reale, che urta contro pareti reali, e tutti potremmo stare lì a contare gli urti, magari aiutandoci con carta e penna.

L’unica cosa strana è che la biglia non rallenta mai, come succede invece sul tappeto di un vero biliardo, ma non è difficile per gli studenti accettare l’idea che il tappeto virtuale del programma non frena la biglia.

‒ Una particella non fa un gas – dichiaro a questo punto – però dieci particelle sono già qualcosa di meglio.

Aumento allora il numero delle biglie sul tavolo e sto a guardare che cosa succede. Succede ovviamente che inizia la carambola delle biglie sul tavolo e che il contatore si affanna ad inseguire il numero degli urti contro le pareti che cresce molto rapidamente. Nessun umano sembra più in grado di seguire quel frenetico conteggio, ma tutti comprendono che il computer non fa qualcosa di più dell’umano, semplicemente fa quello che sa fare anche l’umano, ma in modo più rapido e più preciso. Ecco perché li hanno inventati.

(Aggiungo qui sottovoce, senza farmi sentire dagli studenti, che personalmente non condivido affatto questa descrizione minimalista del lavoro che svolge un computer. Il computer, secondo me, è un anello del processo evolutivo dell’uomo, ma oggi, forse, è ancora un po’ presto per parlare di questo argomento, soprattutto con degli studenti quattordicenni. Vada, perciò, per la rassicurante definizione del computer come di uno stupido veloce che, in genere, rassicura chi teme la tecnologia).

Il resto segue abbastanza facilmente. Se immaginiamo la carambola delle biglie come un gas, che cosa possiamo dire del suo volume, della sua pressione e della sua temperatura? Non sono digiuni, capiscono; il collega di teoria ha fatto il proprio lavoro e quindi non è difficile associare l’idea della pressione agli urti delle biglie sulle sponde del biliardo e l’idea della temperatura alla loro velocità. E il volume?

‒ Il volume è una grandezza che non subisce trasformazioni nel passaggio dal macroscopico al microscopico – osserva correttamente qualcuno. Neppure l’idea bizzarra di un modo a due dimensioni li sconcerta. Il volume, dunque, è un’area: niente da obiettare.

Molto bene. Allora propongo di svolgere un esperimento nel quale si metta in relazione la velocità media delle biglie con il numero medio di urti che esse compiono sulle sponde del biliardo.

Numero degli urti in funzione della velocità, nel mondo microscopico, come a dire: pressione in funzione della temperatura, nel nostro mondo di tutti i giorni. Sono cose già masticate e il discorso fila via.

I problemi sorgono su un terreno apparentemente marginale, che tuttavia rivela le concrete difficoltà di un esperimento condotto in modo simulato. Si tratta del problema delle unità di misura. È qui che li volevo.

‒ Con quale unità di misura dobbiamo misurare la lunghezza che possiede il lato del biliardo? – domando alla classe.

‒ In metri – è la risposta istintiva e collettiva.

‒ Volete dire – domando mentre mimo una misura sullo schermo – che devo andare a misurare col righello questo lato?

Qualche perplessità si insinua subito nelle menti studentesche. Dico la verità, non si tratta del fatto che molti di loro si stanno effettivamente domandando se quell’operazione di misura sia sensata o meno; essi hanno percepito il tono del discorso.

Gli studenti, infatti, sviluppano una speciale capacità sensitiva che permette loro di avvertire dal tono con cui parla il docente la direzione che devono prendere per arrivare incolumi a destinazione, cioè per dire esattamente quello che il docente vorrebbe che essi dicessero. Non è opportunismo, è adattamento all’ambiente. Io ci scherzo spesso e talvolta li sottopongo a qualche burla. Per esempio, durante una spiegazione dico una castroneria portentosa, però lo faccio col tono di chi dice una cosa ineccepibile: al primo istante abboccano tutti, ma anche al secondo istante restano appesi all’amo e anche al terzo.

Insomma, ci restano finché non mi ricordo della regola che il bel gioco dura poco e svelo la sciocchezza che i più bravi hanno intuito ma che non hanno avuto il coraggio di indicare. Allora li sgrido affettuosamente, perché dovrebbero imparare che non ci si deve mai fidare ciecamente di nessuno, figuriamoci dei professori.

‒ Non bisogna misurare il lato in metri – domando – perché vi rendete conto che ciò non avrebbe senso, oppure perché ritenete, ascoltando il tono della mia voce, che dobbiamo andare a parare da un’altra parte?

Ricevuto. Questa domanda è il segnale del professore che è arrivato il momento di far ballare i neuroni. Fino ad ora è stato possibile ascoltare con un orecchio soltanto, ma ora un solo orecchio non basta più; ora bisogna ascoltare veramente.

A quelli che decidono di ascoltare veramente, perciò, suscito il dubbio che impiegando una risoluzione del video diversa da quella impiegata in quel momento – per esempio 800x600 pixel al posto degli attuali 1024x768 pixel – la simulazione potrebbe apparire diversa, ma in realtà non subirebbe alcuna reale modificazione.

I pixel, infatti, ovvero i puntini luminosi di cui è composta l’immagine del biliardo sul video, diventerebbero più grandi, ma non più numerosi. Se prima di modificare la risoluzione il lato del biliardo è 350 pixel (come si vede nella figura), esso continua a misurare 350 pixel anche dopo la modifica della risoluzione.

‒ Qual è, perciò, una unità di misura conveniente per misurare il lato del biliardo? – domando.

‒ Il pixel.

Anche il tempo crea problemi non indifferenti. Molti studenti, infatti, sanno tutto dei megahertz del clock della motherboard, però ignorano il fatto essenziale che il tempo di un computer trascorre a scatti, e che la fluidità dei movimenti sul video è una manifestazione ancora più ingannevole di quella del cinematografo, dove un fotogramma è pur sempre un fotogramma; nel computer non è vero neppure quello, perché anche una singola immagine è composta da una sterminata collezione di pixel, disegnati uno per uno, e soprattutto uno dopo l’altro.

Non capiscono perché all’aumentare del numero di biglie la carambola sul biliardo diventa sempre più lenta, fino a collassare – intorno alle 50 biglie – in un grottesco balletto a scatti che, in apparenza, non ha più niente a che vedere con il nervoso andirivieni delle particelle di un gas.

Devo spiegare, allora, che il computer impiega un tempo sempre maggiore per aggiornare la posizione delle biglie al crescere del loro numero, e che questo toglie fluidità ma non significato al loro movimento. È un movimento, insomma, che esiste soltanto nei nostri occhi, e per di più solo a certe condizioni; in realtà si tratta di una semplice collezione di numeri che viene aggiornata, a intervalli regolari, in base a una regola elementare.

Il tempo che passa, perciò, ha ben poco a che vedere con la fluente grandezza fisica che ben conosciamo, bensì esso è una entità che possiamo contare – come facciamo per il numero degli urti – denominandola convenzionalmente tic. Tanto più è veloce il computer, pertanto, tanto più i tic sono frequenti.

Nel piccolo sistema simulato, pertanto, la familiare velocità delle biglie è in realtà una grandezza ancora più astratta solito, che bisogna misurare in pixel/tic e che risulta indipendente dal computer sul quale è in esecuzione il programma. L’esperimento non è ancora cominciato ma molti studenti sono già provati da questo sforzo di immaginazione che li ha costretti a misurarsi con entità tanto oggettive quanto immateriali.

Sono soddisfatto: ora conoscono, almeno vagamente, il vero significato del verbo simulare.

Durante l’esperimento il laboratorio di trasforma in una ascetica sala per videogiochi. Divisi in gruppi, gli studenti osservano gli urti delle biglie contro le sponde del biliardo e di volta in volta prendono nota dei risultati: lato del biliardo (in pixel, ormai è chiaro il perché); tempo trascorso (in tic), velocità media (in pixel/tic), numero di urti (senza dimensione).

Non c’è l’audio; per questo le biglie che sbattono contro le sponde del biliardo virtuale sono completamente silenziose e sembrano piuttosto pesciolini impazziti che si agitano nell’acquario del video. Si sentono soltanto i commenti degli studenti: uno scoppio di risa, qualche contesa di natura tecnica. Questo videogioco non entrerà mai nella lista dei top ten. Per fortuna.

Reale o simulato che sia l’esperimento, comunque, alla fine la conclusione è sempre la stessa: ogni gruppo si ritrova in mano un foglio di carta, fitto dei dati raccolti. La regola vuole, a questo punto, che una persona di fiducia nel gruppo mi consegni la copia ufficiale dei dati raccolti, alla quale dovranno essere uniformate tutte le altre copie impiegate per la successiva elaborazione.

Sembra un dettaglio marginale, ma invece è una questione importante. Talvolta alcuni studenti ricopiano male i dati raccolti e poi ottengono risultati strampalati: peggio per loro. Non ho mai messo un voto insufficiente solo per questo motivo, ma nemmeno gliel’ho fatta passare liscia una sola volta. Così imparano.

Non è accanimento didattico. Così imparano davvero che riportare correttamente i dati raccolti sulla relazione è il primo passo per ottenere un buon risultato. Trovo giusto, quindi, sollecitare il senso di responsabilità nella trascrizione delle informazioni applicando qualche piccola penalità, quando è necessario. Ma si tratta solo del primo passo, poi vengono tutti gli altri.